mercoledì 18 giugno 2014

Yara Gambirasio


Yara tradita dalla cortesia del killer

Gli inquirenti: caduta in trappola perché lo conosceva poi lui l’ha uccisa con particolare crudeltà
ANSA

INVIATO A BERGAMO
Cosa accadde veramente quella sera del 26 novembre del 2010, quando Yara scomparve nelle brume della Bergamasca per essere assalita e uccisa «con particolare crudeltà», solo Massimo Bossetti potrà raccontarlo. Magari oggi, quando verrà interrogato dal gip. Ma se la giovane Yara Gambirasio, dopo aver portato in palestra della musica, anziché filare dritta a casa salì sul camioncino cassonato bianco del muratore biondo col pizzetto è perché, in qualche modo, si fidava. E se Massimo Bossetti le chiese di salire è perché, in qualche modo, la conosceva. Non l’aveva scelta a caso. Non era da lui, uomo probo e irreprensibile, tutto famiglia, casa e chiesa, ghermire un vittima a caso. Non lo aveva mai fatto e probabilmente non l’ha fatto mai più. Semplicemente, pensano gli investigatori, ha perso il controllo e quando si è reso conto di essere andato oltre un punto di non ritorno, l’ha colpita con ferocia: «Tre colpi al capo e plurime coltellate in diverse regioni del corpo, abbandonandola agonizzante in un campo isolato, ne cagionava la morte...». 

In fondo, i criminologi già un paio di anni fa avevano tracciato dell’assassino un profilo abbastanza preciso: «Quarantenne, affettuoso e premuroso padre di famiglia, timorato di Dio…». Già, la religione. Lo vedevano spesso in prima fila sui banchi delle chiese, Bossetti, anche quella di Brembate di Sopra, racconta qualche testimone. E allora, tra le ipotesi che in queste ore stanno facendo gli inquirenti, c’è anche questa: che Yara si sia avvicinata al suo carnefice perché non lo vedeva come «un estraneo» alla comunità ristretta di Brembate, ma lo aveva riconosciuto come una figura tranquillizzante, qualcuno che aveva già visto, magari proprio fuori (o dentro) la chiesa del paese. Su una cosa infatti i magistrati sono chiari: Massimo Bossetti non aveva conosciuto Yara in palestra, non aveva figli iscritti nello stesso centro sportivo, e non poteva condividere nemmeno una conoscenza in ambienti scolastici, perché i suoi figli, rispetto a Yara, quattro anni fa erano ancora troppo piccoli. Inoltre, in quel periodo, non lavorava nei cantieri della zona. Semplicemente, quella sera passava davanti al centro sportivo di Brembate di Sopra, perché abitava a Mapello, un tiro di schioppo dalla casa dei Gambirasio. Ed è proprio in quella zona, Mapello, radiocentro di via Natta, che i tabulati delle celle telefoniche agganciano alle 17,45 il suo cellulare. Dopo un’unica chiamata lo spegnerà fino al mattino dopo, ore 7,34. Nella stessa zona, un’ora più tardi, alle 18,49, verrà agganciato anche il cellulare di Yara che riceve un sms da un’amica a cui non risponderà. Significa cioè, stando alla tesi investigativa, che Bossetti in quell’ora che va dalle 17,45 alle 18,49, è lì, vicino alla palestra e che Yara è salita sul camioncino per andare incontro alla morte, verso il campo di Chignolo d’Isola, dove verrà lasciata agonizzante a morire di freddo e inedia.  

Dunque, è proprio quando esce dal centro sportivo che la ragazzina lo incontra e si avvicina o si lascia avvicinare. Non lo teme. Yara è una giovane atletica, muscolosa. Non è semplice caricarla con la forza sul camion. Ci vuole qualche espediente, una conoscenza pregressa probabilmente, perché Yara non era tipo che dava confidenza al primo conosciuto. E poi in quel momento, c’è gente. Un anno dopo, infatti, alla stessa ora e in un venerdì di novembre, i carabinieri faranno la prova di filmare la zona: in giro è pieno di gente.  
Anche questo, oltre ai risultati del Dna, fa parte delle prove «decisive». Sebbene la svolta alle indagini sia arrivata solo venerdì scorso, quando gli esami del Dna hanno individuato Ester Arzufi, la madre di «Ignoto 1». E domenica, quando con una scusa Bossetti è stato fermato per un controllo con l’etilometro, grazie al quale gli investigatori hanno ottenuto il suo Dna. 

sabato 11 gennaio 2014

LA PELLE ARTIFICIALE CAMBIERÀ I NOSTRI STILI DI VITA


Italia in prima linea nella sperimentazione della pelle artificiale. Le ricerche sono destinate a cambiare i nostri stili di vita

La pelle artificiale cambierà i nostri stili di vita. Italia in prima fila. L’Istituto italiano di tecnologia segue infatti tre importanti studi, i quali sono destinati a rivoluzionare la nostra vita quotidiana. Sono state sviluppate addirittura tre tecnologie finalizzate all’ottenimento di pelle artificiale per diverse applicazioni. La pelle altro  è la membrana che più di ogni altra ci mette in contatto con il mondo. Grazie alle pelle sentiamo se fa freddo o caldo, percepiamo le caratteristiche dei materiali e delle superfici, possiamo avere una prima impressione sulla forza di una trazione o sul peso di un oggetto. Replicare la sensibilità della pelle, almeno in alcune delle sue peculiarità, è un passaggio fondamentale per qualunque percorso scientifico che si occupi di intelligenza artificiale. La prima tecnologia sono i sensori iCub, la seconda invece riguarda i sensori piezoelettrici e la terza è la riproduzione di una porzione di pelle umana.

La pelle artificiale cambierà i nostri stili di vita. Fonte foto: medicinalive.com

Soddisfazione allora per un primato italiano che promette grandi risultati: le applicazioni delle tecnologie potranno essere guanti per la realtà virtuale indossando i quali si eseguono operazioni chirurgiche anche a distanza, oppure anche tappeti e pedane che registrano in maniera precisa l’evoluzione di unapatologia ortopedica.